La barba di ambrogio (2024)

2 Sul tema un primo, rapido prontuario di indole divulgativa è stato messo a punto da G. Bormolini, La barba di Aronne. I capelli lunghi e la barba nella vita religiosa, Firenze, 2010 (Ricerca del Graal).

3 Apologiae duae, edited by R. B. C. Huygens, with an introduction on beards in the Middle Ages by G. Constable, Turnhout, 1985.

4 Patrologiae cursus completus, seu Bibliotheca universalis, integra, uniformis, commoda, oeconomica, omnium SS. patrum, doctorum scriptorumque ecclesiasticorum… qui ab aevo apostolico ad… Concilii Florentini tempora (ann. 1439) floruerunt, Series Latina, accurante J.-P. Migne, 119, Parigi, 1852, Responsio episcoporum Germaniae Wormatiae coadunatorum de fide Sanctae Trinitatis contra Graecorum haeresim, col. 1212. La boutade, comunque, non era affatto inedita: se ne veda la versione tramandata dalla Grimlaici presbyteri Regula solitariorum in Patrologiae cursus completus, Series Latina, 103, Parigi, 1851, Benedictus Anianensis abbas, Codex regularum monasticarum et canonicarum quas ss. patres monachis, canonicis et virginibus sanctimonialibus servandas praescripserunt, caput LI, Ut certo tempore sese radant, ne sint comati, col. 642-643. Per le fonti canonistiche che, invece, avrebbero ispirato san Carlo, si veda la seguente nota 26.

5 Conserva intatta la sua attualità il rapido ma efficace quadro di sintesi tracciato da S. Ditchfield, Il mondo della Riforma e della Controriforma, in Storia della santità nel cristianesimo occidentale, Roma, 2005, p. 261-329.

6 Inscindibilmente associati anche nella storiografia a partire da F. Savio, S. Carlo e la storia degli antichi vescovi, in La scuola cattolica, 38, 1910, p. 278-279, fino ai più recenti contributi di A. Dallaj, Carlo Borromeo e il tema iconografico dei santi arcivescovi milanesi, in Culto dei santi, istituzioni e classi sociali in età preindustriale, S. Boesch Gajano, L. Sebastiani (a cura di), L’Aquila/Roma, 1984 (Collana di studi storici), p. 649-680; A. Bianchi, Sant’Ambrogio, san Carlo Borromeo e la «carità pastorale», in La città e la sua memoria. Milano e la tradizione di sant’Ambrogio, [Catalogo della mostra tenuta a Milano nel 1997], M. Rizzi (coordinamento generale di); sezione archeologica a cura di S. Lusuardi Siena, M. P. Rossignani, M. Sannazaro, Milano, 1997, p. 289-297: p. 293; A. Rovetta, Ambrogio in Pinacoteca Ambrosiana: attestazioni iconografiche di età borromaica, in Ambrogio a Milano e all’Ambrosiana, Atti del quinto dies academicus, 30-31 marzo 2009, R. Passarella (a cura di), Milano/Roma, 2010 [= in Studia Ambrosiana, 4, 2010].

7 Acta Ecclesiæ Mediolanensis tribus partibus distincta. Quibus concilia provincialia, conciones synodales, synodi diœcesanæ, instructiones, litteræ pastorales, edicta, regulæ confratriarum, formulæ, et alia denique continentur, quæ Carolus S. R. E. cardinalis tit. S. Praxedis, archiepiscopus egit, Mediolani, 1583 [d’ora innanzi l’unica edizione citata come Acta Ecclesiæ Mediolanensis], f. 46v.

8 Acta Ecclesiæ Mediolanensis, f. 74v. Sull’evoluzione dell’iconografia episcopale ambrosiana e sulla parallela, fortunata sopravvivenza delle istanze caroline tra Sei e Settecento, si vedano anche S. Coppa, «Un piccolo oratorio, sotto i tetti del palagio archiepiscopale, lontano da ogni romore». La cappella di S. Carlo nell’arcivescovado di Milano, in La cappella di S. Carlo nell’arcivescovado di Milano, Cinisello Balsamo, 2002, p. 31-34; S. A. Colombo, Il soffitto e La pala d’altare, ibid., p. 42-45, e da ultimo E. Bianchi, La collezione Erba Odescalchi: alcune precisazioni e una proposta attributiva, in Arte lombarda, n. s., 163, 2012, p. 86-101.

9 Tabula archiepiscoporum sanctae Ecclesiae Mediolanensis ex decreto concilii provincialis III, in Acta Ecclesiae Mediolanensis ab eius initiis usque ad nostram aetatem, A. Ratti (opera et studio), III, Mediolani, 1892, col. 381-401; sull’attribuzione del catalogo al Galesini, già data per sicura dal Ratti, Acta Ecclesiae Mediolanensis ab eius initiis usque ad nostram aetatem, II, Mediolani, 1890, p. xxiii, si veda E. Cattaneo, Il breviario ambrosiano. Note storiche ed illustrative, Milano, 1943, p. 99, e Id., Cataloghi e biografie dei vescovi di Milano dalle origini al sec. XVI, Milano, 1982 (Archivio ambrosiano, 44), p. 34-39 (lo status quaestionis è ricapitolato da P. Tomea, Tradizione apostolica e coscienza cittadina a Milano nel medioevo. La leggenda di san Barnaba, Milano, 1993 [Bibliotheca erudita, 2], p. 143-144, nota 2); nello specifico, in merito a Pietro Galesini, dotto ecclesiastico e liturgista di fiducia di Carlo Borromeo: G. Philippart, Galesini (Pietro), in Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastique, 19, Parigi, 1981, col. 762-763; E. Cattaneo, La singolare fortuna degli «Acta Ecclesiae Mediolanensis», in La scuola cattolica, 111, 1983, p. 191-217; M. Navoni, Galesini, Pietro (1520c.-1590c.), in Dizionario della Chiesa ambrosiana, 3, Milano, 1989, p. 1359-1361. Andrà, tuttavia, sottolineato come il Galesini — sebbene ciò non basti a ridimensionare radicalmente la preminenza del suo ruolo — fu affiancato nello studio delle vite e della cronotassi dei presuli milanesi da una vera e propria commissione istituita ad hoc, almeno così parrebbe sulla base di un succinto appunto, ancora tutto da contestualizzare, rinvenuto nel ms. Milano, Biblioteca Ambrosiana [d’ora innanzi BAMI], Trotti 150, f. 60, di seguito al Catalogus archiepiscoporum Mediolani a divo Barnaba usque ad Iohannem Angelum Arcimboldum anno 1555…: nulla più che una semplice lista di nomi, dove spicca, lo si noti per inciso, quello di Carlo Bascapè (C. Marcora, La «Congregatio de vitis archiepiscoporum», in Memorie storiche della diocesi di Milano, 3, 1956, p. 74-88).

10 Sull’attività di Carlo in ambito cultuale e sull’opera di revisione dei libri liturgici ambrosiani, da lui auspicata e perseguita con impegno, restano validi punti di riferimento: E. Cattaneo, Carlo Borromeo e la liturgia, in Quaderni di Ambrosius, supplemento ad Ambrosius, 42/3, 1966, p. 2-43; C. Alzati, Carlo Borromeo e la tradizione liturgica della Chiesa milanese, in Accademia di san Carlo. Inaugurazione del III anno accademico (Milano, 8 novembre 1980), Milano, 1981, p. 83-99, rist. in Carlo Borromeo e l’opera della «grande riforma». Cultura, religione e arti del governo nella Milano del pieno Cinquecento, F. Buzzi, D. Zardin (a cura di), Milano, 1997, p. 37-46. Nello specifico, sulle diverse tappe della laboriosa gestazione del nuovo breviario ambrosiano: Cattaneo, Il breviario ambrosiano, op. cit., p. 75-102, 301-313; mentre per quanto riguarda il rifacimento del messale, ultimato durante l’episcopato di Gaspare Visconti: Id., La Messa nelle terre di sant’Ambrogio, Milano, 1964, p. 42.

11 Alzati, Carlo Borromeo e la tradizione liturgica, op. cit.; Zardin, Carlo Borromeo. Cultura, santità, governo, op. cit., soprattutto p. 61, 94, 99; Bianchi, Sant’Ambrogio, san Carlo Borromeo e la «carità pastorale»…, op. cit.; M. Navoni, «Ambrosius quem sibi imitandum proposuerat»: il patrono di Milano riletto da Carlo Borromeo, in Ambrogio a Milano e all’Ambrosiana, op. cit., p. 115-131.

12 E. Cattaneo, Lo studio delle opere di s. Ambrogio a Milano nei secoli XV-XVI, in Studi storici in memoria di mons. Angelo Mercati, Milano, 1956, p. 145-161; in merito alla stampa del Volumen homiliarum e sancti Ambrosii episcopi et doctoris libris contextum, curata dal sacerdote milanese Giovanni Stefano Lainati, con prefazione del solito Galesini (1575): A. R [atti], San Carlo Borromeo-Benedetto Arias Montano-Giovan Stefano Lainati, in San Carlo Borromeo nel III centenario della canonizzazione, 19, maggio 1910, p. 382-385; per l’edizione romana del corpus ambrosiano: F. Costa, Il carteggio Peretti-Borromeo per l’edizione romana delle opere di s. Ambrogio (1579-1585), in Miscellanea francescana, 86, 1986, 2-4, p. 821-877, oltre al testo corrispondente alle note 27 e 99.

13 G. P. Giussano, Vita di s. Carlo Borromeo prete cardinale del titolo di Santa Prassede arcivescovo di Milano…, Roma, 1610, p. 590-591.

14 Testimonianza rilasciata il 16 gennaio 1604: C. Marcora, Il processo diocesano informativo sulla vita di s. Carlo per la sua canonizzazione, in Memorie storiche della diocesi di Milano, 9, 1962, p. 579 (a p. 577, nota 53: succinto profilo biografico del Clerici, sulla scorta di Ph. Argelati Bononiensis, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, seu Acta, et elogia virorum omnigena eruditione illustrium, qui in metropoli Insubriae, oppidisque circumjacentibus orti sunt… Historia literario-typographica Mediolanensis ab anno MCDLXV. ad annum MD. nunc primum edita…, Mediolani, 1745, I, p. 439. Sua, con tutta probabilità, una Tabella de usu et colore capparum, Mediolani, 1586).

15 L’assimilazione tra Carlo «novo Ambrogio» e il suo santo predecessore — già proposta con insistenza dopo la morte del Borromeo — è un fil rouge che riaffiora nelle deposizioni raccolte a Milano secondo il preciso canovaccio predisposto da Marc’Aurelio Grattarola e dai suoi collaboratori, in previsione della canonizzazione: alcuni esempi editi in Marcora, Il processo diocesano, op. cit., p. 173, 184-185, 240, 257, 474, 635. L’escamotage dell’allineamento fisiognomico non era del resto una novità: basti pensare alla sovrapposizione — destinata a lunga fortuna — tra san Zeno e Gian Matteo Giberti, sovrapposizione che si offre ai nostri occhi precocemente, nel dipinto Il Cristo portacroce e santi eseguito tra il 1546 e il 1547 (poco dopo, cioè, la morte del presule) per l’altar maggiore della chiesa veronese di S. Stefano, considerato un simbolo del clima di rinnovamento determinato dall’opera riformatrice del defunto vescovo (E. M. Guzzo, Iconografia gibertiana, in Gian Matteo Giberti [1495-1543], Atti del Convegno di studi, Verona, Vescovado, 2-3 dicembre 2009, M. Agostini, G. Baldissin Molli (a cura di), Cittadella, Padova, 2012, p. 122-123).

16 Sul coro ligneo si veda la successiva nota 59; quanto invece ai teleri realizzati prima della canonizzazione carolina, ormai classiche si possono ritenere le indagini di E. Arslan, Le pitture del Duomo di Milano, Milano, 1960, e di M. Rosci, I quadroni di san Carlo nel Duomo di Milano, Milano, 1965, alle quali andrà ora aggiunta la monografia di K. Burzer, San Carlo Borromeo. Konstruktion und Inszenierung eines Heiligenbildes im Spannungsfeld zwischen Mailand und Rom, Deutscher Kunstverlag, Berlino/Monaco di Baviera, 2011, soprattutto p. 73-113; qualche inedito supplemento di informazione anche in A. Albuzzi, «Per compire l’apparato che suole farsi ogn’anno nel Duomo di Milano». I più tardi teleri sulla vita di san Carlo: dal progetto alla realizzazione, Perugia, 2009.

17 Fu autore di una delle più note e criticamente accorte biografie del santo Borromeo: De vita et rebus gestis Caroli… archiepiscopi Mediolani libri septem, Ingolstadii, 1592. Delle altre indagini di carattere erudito attribuibili al Bascapè poche videro la luce, tutte dopo la morte di Carlo, alcune — segnate da traversie editoriali complesse — anche postume. Sul catalogo delle opere — ben lungi dall’essere esaurientemente ricomposto — si vedano alcuni dati in M. Salvadeo, Bibliografia del servo di Dio Carlo Bascapè, Milano, 1966; P. Prodi, Bascapè, Carlo, in Dizionario biografico degli Italiani, 7, Roma, 1970, p. 35-37; S. Pagano, Saggio per una bibliografia ragionata di Carlo Bascapè, in Barnabiti studi, 10, 1993, p. 293-368. Quanto alla ricostruzione del profilo, in attesa di una esaustiva biografia critica — già auspicata da Prodi, Bascapè, Carlo, op. cit. e ancora tutta da disegnare — rimane imprescindibile l’opera del barnabita I. Chiesa, Vita del rev. mo mons. d. Carlo Bascapè vescovo di Novara de chierici regolari di S. Paolo…, Milano, 1636, non priva di una solida conoscenza dell’argomento, nonché di acute osservazioni, oggi disponibile in una nuova edizione annotata a cura di S. Pagano: Vita di Carlo Bascapè barnabita e vescovo di Novara (1550-1615), Firenze, 1993 (Centro studi Padri barnabiti. Scripta varia, 1: sulle opere del Bascapè: p. 638-643). In particolare, sull’amicizia solida e fedele, per quanto non priva di schiette aperture critiche, che legò il collaboratore di Carlo al secondo Borromeo: M. Salvadeo, Le relazioni fra il card. Federico Borromeo e Carlo Bascapè (da alcune lettere inedite), in Studi in onore di Carlo Castiglioni prefetto dell’Ambrosiana, Milano, 1957, p. 758-779. Infine, tra i non pochi titoli della letteratura più recente che hanno approfondito aspetti circoscritti dell’operato svolto dal Bascapè metterà qui conto segnalare almeno Carlo Bascapè sulle orme del Borromeo. Coscienza e azione pastorale in un vescovo di fine Cinquecento, Atti dei convegni di studio di Novara, Orta e Varallo Sesia, 1993, Novara, 1994.

18 La notizia che ci consegna Innocenzo Chiesa (Vita del rev.mo mons. d. Carlo Bascapè, op. cit., p. 122, nota 110) trova conferma anche in una delibera emanata dai deputati della Fabbrica del Duomo che, il 27 febbraio 1624, ordinavano di «trattare della forma di nettare et mantenere netta dalla polvere l’historie et intaglii che sono nella cinta interiore del choro…, sendo opere di molta eccelenza et far diligenza per trovare i carateri di mettallo che si dice furono già giatati et insieme l’inscritione fece il fu monsignor Basgapè per poter incassare i detti caratteri nelle cartelle di dette historie» (Milano, Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo [d’ora innanzi AVFDMI], Archivio storico, cart. 422, fasc. 1bis). La biografia ambrosiana approntata dal Bascapè (altrove ricordata col titolo Della vita di santo Ambrosio, dialogo imperfetto) risultò irreperibile a poca distanza dalla morte dell’autore e tale la si ritiene ancor’oggi (Chiesa, Vita del rev. mo mons. d. Carlo Bascapè, op. cit., p. 641, nota 142, con riferimento ai principali repertori bibliografici di letteratura milanese e/o barnabita).

19 Se si arretra nel tempo fino alla prima metà del Trecento, è possibile sorprendere il domenicano Galvano Fiamma, a poco a poco divenuto «vero e proprio testimone e custode dell’ideologia del potere visconteo» (G. Cariboni, Comunicazione simbolica e identità cittadina a Milano presso i primi Visconti [1277-1354], in Reti Medievali Rivista, 9, 2008/1 [http://www.rmojs.unina.it/index.php/rm/article/view/urn%3Anbn%3Ait%3Aunina-3115/75], p. 24), mentre, descrivendo le solennità celebrate in occasione della consacrazione episcopale di Giovanni Visconti (1342), pone il medesimo Giovanni in diretto confronto con Ambrogio e lo esorta ad emularlo (Opusculum de rebus gestis ab Azone, Luchino et Johanne Vicecomitibus ab anno MCCCXXVIII usque ad annum MCCCXLII, C. Castiglioni [a cura di], Bologna, 1938 [Rerum italicarum scriptores2, XII/4], p. 50). Quanto l’importanza del parallelismo con Ambrogio fosse basilare nel quadro della sintassi simbolica elaborata nell’entourage visconteo come strategia di autolegittimazione e promozione individuale, religiosa, nonché politica, con il valore aggiunto di attestare la coerenza di una successione episcopale senza soluzione di continuità della quale Giovanni voleva dimostrarsi diretto e degno depositario, lo si evince da ulteriori fonti. Le monete auree e argentee coniate dalla Zecca di Milano, ad esempio, in merito alle quali: C. Crippa, Le monete di Milano dai Visconti agli Sforza dal 1329 al 1535, Milano, 1986, p. 36; Cariboni, Comunicazione simbolica, op. cit., p. 25, figura 11; più in generale sull’importanza politica attribuita nella monetazione visconteo-sforzesca all’immagine di Ambrogio, defensor civitatis e santo connotato secondo un codice rappresentativo sempre più «aggressivo», con staffile e posa equestre: E. Arslan, Ambrogio e la sua moneta, in Ambrogio. L’immagine e il volto. Arte dal XIV al XVII secolo, Catalogo della mostra tenuta a Milano nel 1998, Venezia, 1998, p. 34-44; Id., Ambrogio, i Visconti e le monete di Milano: un caso esemplare, in Il significato delle immagini. Numismatica, arte, filologia, storia, Atti del secondo incontro internazionale di studio del Lexicon iconographicum numismaticae, Genova, 10-12 novembre 2005, R. Pera [a cura di], Roma, 2012 [Serta antiqua et mediaevalia, 14], p. 391-409). O ancora la Chronica pontificum Mediolanensium (da san Barnaba a sant’Ambrogio, per l’appunto) che Galvano indirizzò a Giovanni Visconti in occasione della sua elezione episcopale, a proposito della quale: P. Tomea, Per Galvano Fiamma, in Italia medioevale e umanistica, 39, 1996, p. 103-104; Id., Fiamma [Flamma, de Flama], Galvano, in Dizionario biografico degli Italiani, 47, Roma, 1997, p. 331-338; Cariboni, Comunicazione simbolica, op. cit., p. 24-25. E se, durante le diverse tappe della Repubblica ambrosiana, «la remémoration ambrosienne s’amplifie à mesure que le gouvernement se radicalise», manifestandosi in una vera e propria «frénésie rituelle», l’«histoire du second Quattrocento est celle d’une lente et patiente réappropriation princière de la mémoire de saint Ambroise»: così, mentre ancora ai tempi di Francesco Sforza Ambrogio avrebbe conosciuto un’«occultation prudente», Galeazzo Maria sarebbe stato protagonista di una ripresa della memoria ambrosiana in grande stile, ancora una volta finalizzata al consolidamento dell’immagine del principe (P. Boucheron, La mémoire disputée: le souvenir de saint Ambroise, enjeu des luttes politiques à Milan au xvesiècle, in H. Brand, P. Monnet, M. Staub [a cura di], Memoria, Communitas, Civitas. Mémoire et conscience urbaines en Occident à la fin du Moyen Âge, Stoccarda/Ostfildern, 2003 [Beihefte der Francia, 55], p. 203-223, in particolare p. 215-223).

20 Solo due casi esemplari, scelti senza alcuna pretesa di esaustività, che, tuttavia, si offrono come indizi propedeutici a meglio circoscrivere un nodo problematico su cui dovremo ancora tornare. Conviene, innanzitutto, sottolineare l’accento enfatico con cui Carlo, attraverso le sue omelie, esalta — come connotato essenziale del buon pastore cui sta a cuore «il beneficio spirituale del suo gregge» — la resistenza ad oltranza opposta da Ambrogio nei confronti di imperatori, «tiranni», nonché del loro braccio armato, «per difensione dell’immunità ecclesiastica»; in particolare, per quanto concerne Teodosio, «chi può immaginarsi la virtù e costanza, con la quale [lo] scacciò […] dalla chiesa, lo scomunicò, lo tenne per otto mesi in continue lagrime e penitenza? Lo scacciò poi dai cancelli sacerdotali» (alla predica in volgare, «de sancto Ambrosio habita in ipsius basilica Mediolani, anno MDLXVII, VII decembris», menzionata dalla Dallaj, Carlo Borromeo e il tema iconografico, op. cit., p. 658-659, ed edita in Caroli Borromei…, Homiliæ nunc primum e mss. codicibus Bibliothecæ Ambrosianæ in lucem productæ Joseph Antonii Saxii præfatione et annotationibus illustratæ, I, Mediolani, 1747, p. 21-22, possiamo aggiungere l’«Homilia LXXXIII in festo ordinationis sancti Ambrosii habita ad populum Belizonae dioecesis Comensis, Feria IV. Dominicæ IV. Adventus ritu Ambrosiano, anno MDLXXXIII VII decembris», ibid., III, Mediolani, 1747, p. 118-119 e sg.; per la trasposizione in immagini lignee del tormentato rapporto tra il santo vescovo e l’imperatore, si vedano le successive note 59, 78-80). La polisemia dell’identità episcopale, rivisitata a tutto tondo, anche in quelle manifestazioni in cui un prudente ma risoluto tatticismo diplomatico e politico risultava necessario, sarebbe stata in seguito esaltata nella cerimonia di canonizzazione vaticana del 1610, paradossalmente (all’apparenza) con più vigore che negli apparati effimeri messi a punto per Milano: un dettaglio — questo — passato sino ad oggi quasi inosservato nei minuziosi rendiconti delle mirabolanti pompe festive. Così come ce li descrive Marc’Aurelio Grattarola, attraverso un accurato dosaggio, dove convergono le istanze ambrosiane e gli elementi artistici posti in atto ed esibiti a Roma, i fatti «heroici» o misteri messi in scena nell’apparato di Antonio Tempesta e debitamente corredati di legenda si snodano lungo un percorso più narrativo e biografico rispetto ai quadroni esposti nel Duomo di Milano e sottolineano con decisione — accanto alle virtù astratte — tutti gli aspetti qualificanti dell’attività di un presule, padre-pastore e guida della sua diocesi, che, in particolare, difende «intrepidamente, non senza grandi sudori, e pericoli della vita, la immunità et autorità della sua Chiesa: “Strenue, ut alter Ambrosius, ecclesiastica iura tuetur”» (M. A. Grattarola, Successi maravigliosi della veneratione di s. Carlo cardinale di S. Prassede, & arcivescovo di Milano, Milano, 1614, p. 225; rinvio, in proposito, ad A. Albuzzi, Alla ricerca dello stendardo perduto. La definizione del canone iconografico carolino nella dialettica tra centro e periferia della cristianità, in corso di stampa).

21 Boucheron, La mémoire disputée…, op. cit., p. 215, 221.

22 Acta Ecclesiæ Mediolanensis, f. 10v.

23 Acta Ecclesiæ Mediolanensis, f. 304-305 (30 dicembre 1576).

24 Acta Ecclesiæ Mediolanensis, f. 168r (sinodo diocesano quinto, decreto IV): «Barbæ radendæ institutum a patribus in concilio Carthaginensi sancitum, quodque ex summi pontificis Gregorii VII litteris longe antiquissimum esse perspeximus iam olim in omni fere Ecclesia et in nostra ac ambrosiana, ad hæc usque tempora ut nos vidimus a plerisque sacerdotibus antiquæ sanctioris disciplinæ studiosis conservatum, ac deinceps nostris litteris per nos ad usum consuetudinemque revocatum, ita in perpetuum retineri, præcipimus hac mandamus ut unusquisque sacerdos et clericus quocumque gradu dignitateve praeditus, barbam radat» (sulle fonti di questo passo si veda successiva nota 26); in seguito Carlo non avrebbe perso occasione di ritornare sul precetto: Acta Ecclesiæ Mediolanensis, Instruttione ai sacerdoti, per celebrare la santa messa, secondo il rito ambrosiano (Della preparatione esteriore), f. 247r; Instruttione a vicarii foranei, f. 266v; Avvertenze di monsignor illustrissimo cardinale di S. Prassede arcivescovo di Milano ai curati della città e diocesi sua per amministrare il santissimo sacramento dell’Eucharistia in chiesa, f. 240r; Acta Ecclesiæ Mediolanensis, a Carolo cardinali S. Praxedis archiepiscopo condita, Federici cardinalis Borromaei archiepiscopi Mediolani iussu undique diligentius collecta et edita, Mediolani, 1599: Instructiones congregationum dioecesanarum… ex concilii Provincialis IV decreto editæ ad provinciæ Mediolanensis usum (De visitatione Ecclesiae ubi conventus habetur, tit. XIV), p. 649; De sacramento sanctissimæ Eucharistiæ rubricæ seu instuctiones (De præparatione corporis), p. 514.

25 Acta Ecclesiæ Mediolanensis, f. 305v (littera del 1576); sulla questione il solo ad essersi brevemente soffermato fu A. Roncalli, S. Carlo Borromeo e l’uso della barba negli ecclesiastici, in La scuola cattolica, 38/18, 1910, p. 320-323.

26 Fonti dichiarate della lettera pastorale (1576) e del decreto relativo al «barbae radendae institutum» (1578) sono il Concilium Carthaginese IV, c. 44, in Concilia Africae. A. 345-A. 525, C. Munier (cura et studio), Turnhout, 1974 (C. C. s. l., 149), p. 348 [= Statuta ecclesiae antiqua, c. 25, in Concilia Galliae, 1, A. 314-A. 506, C. Munier (cura et studio), Turnhout, 1963 (C. C. s. l., 148), p. 171], benché — e anche questo è particolarmente illuminante per cogliere la disinvoltura euristica del Borromeo — il tenore della prescrizione sia di natura sostanzialmente opposta a quanto si vorrebbe dimostrare: «clericus nec comam nutriat nec barbam radat», e l’epistolario di Gregorio VII (nella fattispecie una missiva indirizzata a Orzocco iudex cagliaritano il 5 ottobre 1080: Das Register Gregors VII, E. Caspar (a cura di), Berlino, 1923 (MGH, Ep., 2/2], p. 528-530).

27 Emblematici risultano l’iter e l’esito finale del dibattito sull’effigie «ufficiale» di Ambrogio che avrebbe dovuto campeggiare «sul primo foglio» dei tomi compresi nel corpus ambrosiano curato da Felice Peretti, cardinale di Montalto e futuro papa Sisto V (Costa, Il carteggio Peretti-Borromeo, op. cit., p. 839-840). Non sarà superfluo ricapitolarne a sommi capi le tappe più significative, attraverso il periplo della corrispondenza carolina: raggiunto più volte dalla richiesta romana di un modello a cui attenersi (da ultimo, BAMI, F 76 inf., f. 11r, lettera del Peretti, 19 marzo 1580, e ibid., F 58 inf., f. 162r, missiva di Cesare Speciano, 11 giugno 1580: Costa, Il carteggio Peretti-Borromeo, Appendice nr. 44, op. cit., p. 875-876; Rovetta, Ambrogio in Pinacoteca Ambrosiana, op. cit., p. 178), il Borromeo nel febbraio 1580 informava il Montalto: «Quel ritratto di santo Ambrosio ho trovato, ch’era stato mandato in Spagna et hora ne faccio fare un altro in quella medesima forma il quale manderò a v. s. ill. ma…» (Costa, Il carteggio Peretti-Borromeo, Appendice nr. 43, op. cit., p. 875; Rovetta, Ambrogio in Pinacoteca Ambrosiana, op. cit., p. 178); poco più tardi l’archetipo al quale ispirarsi per ricomporre la «vera effigie» sarebbe finalmente giunto a destinazione, dopo esser stato «cavato da quel di pietra che è in castello, ma colorito secondo quel che è dipinto nella chiesa di Santo Ambrosio ed aiutato poi con i libri che trattano della sua effigie» (ci informano al riguardo note inviate allo Speciano il 1o settembre 1580: BAMI, F 58 inf., f. 362r; Rovetta, Ambrogio in Pinacoteca Ambrosiana, op. cit., p. 178), riscontrando il pieno gradimento del Peretti (i ringraziamenti datano al 27 agosto 1580: «parmi proprio che Ambrosio non possa esser’altro che questo, faccia tremenda et veneranda, a re et imperadori formidabile, l’ho fatta vedere a molti signori et tutti restano molto edificati et pensano che non possa esser’altra vera effigie che questa [...] ma molti signori fin qua me fanno molta instantia di ritrarla in quadri grandi, di modo che in poco tempo se ne empirà tutta Roma et fuori», BAMI, F 76 inf., f. 66r; Costa, Il carteggio Peretti-Borromeo, Appendice nr. 45, op. cit., p. 876; Rovetta, Ambrogio in Pinacoteca Ambrosiana, op. cit., p. 178); non senza imbattersi, tuttavia, in un inatteso ostacolo (e la missiva, del 4 settembre 1581, è indirizzata in questo caso dallo Speciano a Carlo: BAMI, F 60 inf., f. 265v-266r; Rovetta, Ambrogio in Pinacoteca Ambrosiana, op. cit., p. 180): il papa, Gregorio XIII, «non ha voluto che si stampi nelle opere sue così raso, ma gli ha fatto aggiungere la barba, e poca, per prattica di qualche cardinale che non voglio scrivere». Ciò nonostante i curatori dell’edizione nella legenda apposta in calce vollero ugualmente rimarcare l’autorevolezza storica dell’immagine: «Ambrosii episcopi effigies ex antiquis eius imaginibus Mediolani olim depictis ad vivum espressa» (Operum sancti Ambrosii Mediolanensis episcopi, tomus primus, Romae, 1580, pagina successiva al frontespizio, fig. 11).

28 G. Calenzio, La Vita e gli scritti del cardinale Cesare Baronio della congregazione dell’oratorio, bibliotecario di S. Romana Chiesa, Roma, 1907, p. 160, 916-922 (citazione da p. 922).

29 A. Ratti, Il più antico ritratto di s. Ambrogio, in Ambrosiana. Scritti varii pubblicati nel XV centenario della morte di s. Ambrogio, Milano, 1897, p. 3-74.

30 G. F. Besozzo, Historia pontificale di Milano, nella quale, descrivendosi le vite de gli arcivescovi di questa Chiesa metropolitana, dal primo suo fondatore san Barnaba, fino al presente illustrissimo e reverendissimo cardinale Borromeo, si ha piena notitia dell’antichità, grandezza e nobiltà di quella, tratta da varie historie antiche e moderne, Milano, 1596; quanto al Galesini rinvio alla precedente nota 9.

31 La lettera di Carlo, evidentemente dettata dall’esigenza di giustificare la propria decisione a fronte di critiche anche illustri, è conservata sotto forma di minuta in BAMI, F 188 inf., fasc. 15, e segnalata nei Documenti circa la vita e le gesta di san Carlo Borromeo, pubblicati per cura… di A. Sala, parte II, Lettere, Milano, 1857, p. 199, nr. 167 («Lettera tutta di pugno di s. Carlo in difesa dell’ordine dato di non nutrire la barba, con molti esempi dei ritratti di sant’Ambrogio senza barba, e da altre ragioni…»). Al corredo esplicativo del De vita et rebus gestis Sancti Caroli Borromei… libri septem, quos ex I.P. Glussiano B. Rubeus latine reddidit, B. Oltrocchi notis uberrimis illustravit, Mediolani, 1751, p. 335, dove della missiva sono proposti excerpta tradotti in latino, si rifanno, invece, Bianchi, Sant’Ambrogio, san Carlo Borromeo e la «carità pastorale», op. cit., p. 295, e Rovetta, Ambrogio in Pinacoteca Ambrosiana, op. cit., p. 177, datando tuttavia la fonte al 1576.

32 Sulla ricerca iconografica che stava alla base di questa scelta, ricerca prolungatasi anche negli anni immediatamente successivi al 1576, si veda nota 27.

33 Vedi nota successiva 35.

34 C. Marcora, Un diario sulla morte dell’arcivescovo di Milano Gaspare Visconti (1584-1595) e sulla nomina del card. Federico, in Memorie storiche della diocesi di Milano, 2, 1955, p. 135-147 (citazione alle p. 145-146): «Et se bene il clero si trovava per la Dio gratia sì ben disposto alla disciplina ecclesiastica che non parea che punto di fosse tralasciato dal rigore de’concilii tuttavia non mancarono secolari che, mostrando il suo animo, diedieronsi a sparger per la città tal versi rozzi et più presto furbischi che altrimente et fachineschi:
[…]
Ste all’erta an unbarbe
Con i nost’ras hora per rad i barb
Che i vora fos quest’hom d’un altro garb.
Al quale da duoi billi ingegni fu risposto come segue:
[…]
No fan per nui ne coi raso i barbe
Per rad i barb ne per tosa barbis
Anz a te do st’avis
che tug ste cose per ti s’adoureran
da suon cat (?) via net du i barbagn.»

35 Un accertamento, questo, che, per essere pienamente fruttuoso, andrebbe altresì condotto sul filo diacronico della longue durée: fin dall’alto medioevo l’iconografia ambrosiana — la rappresentazione, cioè, del santo cittadino per eccellenza, vertice della compattezza di un’intera comunità — fu tutt’altro che univoca, ma — come traspare da non pochi indizi — di volta in volta rimodellata e piegata a nuove, urgenti istanze di propaganda politica o religiosa. È quel che potrebbe lasciar intendere anche il volto del vescovo così come una complessa sequela di riaggiustamenti, penose devastazioni e conseguenti restauri ce lo consegna oggi nel mosaico absidale della basilica di S. Ambrogio: incorniciato da chioma e barba bianca, rappresenterebbe una rottura con la tradizione antecedente o almeno coeva che — come l’altare aureo di Volvino palesa — voleva Ambrogio soprattutto (ancorché non solamente) imberbe. Il condizionale è d’obbligo, dovendo noi ragionare su lacerti sconquassati per i quali ancora manca un’analisi stratigrafica puntuale: ma il parziale scarto rispetto ad un uso prevalente che, traguardato il secolo XI, si sarebbe imposto come canone — senza dubbio, sempre con andamento desultorio — è a tal punto significativo da non poter esser ritenuto frutto di una casualità o di una mera e apparentemente ingiustificata propensione alla variatio, qualsiasi datazione si voglia poi attribuire al manufatto originario. In un recente contributo (Del vero volto di Ambrogio. Riflessioni sul mosaico absidale di Sant’Ambrogio a Milano in epoca carolingia, in Arte lombarda, n. s., 166, 2012/3, p. 5-14) Ivan Foletti ha voluto evidenziarvi in modo privilegiato la consapevole intenzione di ridisegnare i lineamenti di Ambrogio assecondando gli standard petrini attraverso una «appropriazione di identità» che poteva assumere la portata di manifesto programmatico polemico nei confronti del papato (vicarius Petri) e che, pertanto, sarebbe da collocare in un momento di esasperata conflittualità tra la metropolia milanese e il papato (nella fattispecie: durante l’episcopato di Ansperto). Risulta tuttavia così opacizzato, o almeno ridimensionato, il valore della sovrapposizione — nel medesimo mosaico — tra l’immagine di Ambrogio e quella di Martino di Tours, innegabile e pregna di ricadute, allorché il contemporaneo De vita et meritis sancti Ambrosii, seconda biografia ambrosiana, propone un fitto gioco di rimandi agli scritti panegirici in onore di Martino, quasi ad asseverare un «processo simbiotico» tra i due santi, il cui culto, non a caso, fu rilanciato durante l’episcopato di Angilberto II (P. Tomea, Ambrogio e i suoi fratelli. Note di agiografia milanese altomedioevale, in Filologia mediolatina, 5, 1998, p. 149-232). Anche così, tuttavia, qualora si volesse aderire alla obiettivamente più argomentata interpretazione del testo musivo, permane inalterata la forte carica simbolica trasmessa a una precisa forma iconografica in cui tradurre l’immagine di Ambrogio, esito inevitabile di una consapevole scelta di promozione santorale.

36 Sulla figura di Ambrogio quale polo catalizzatore dell’identità civica e del senso di appartenenza a una collettività, con special riguardo all’età medioevale, oltre all’ormai classico E. Cattaneo, La tradizione e il rito ambrosiani nell’ambiente lombardo-medioevale, in Ambrosius Episcopus, Atti del congresso internazionale di studi ambrosiani nel XVI centenario della elevazione di sant’Ambrogio alla cattedra episcopale, Milano, 2-7 dicembre 1974, G. Lazzati (a cura di), Milano, 1976 (Studia patristica Mediolanensia, 7), p. 5-47, ora in: Id., Terra di sant’Ambrogio. La Chiesa milanese nel primo millennio, A. Ambrosioni et al. (a cura di), Milano, 1989 (Cultura e storia. Terza serie, 1), p. 117-159, è tornato più volte, in tempi recenti Patrick Boucheron: Palimpsestes ambrosiens: la commune, la liberté et le saint patron (Milan, xie-xvesiècles), in P. Chastang (a cura di) Le passé à l’épreuve du présent. Appropriations et usages du passé du Moyen Âge à la Renaissance, Parigi, 2008, p. 15-38; Au coeur de l’espace monumental milanais: les remplois de Sant’Ambrogio (ixe-xiiiesiècles), in P. Moret, P. Toubert (a cura di), Remploi, citation, plagiat. Conduites et pratiques médiévales (xe-xiiesiècle), Madrid, 2009, p. 161-190 (Collection de la Casa de Velázquez, 112), soprattutto p. 164-165; Une tradition liturgique et ses messages implicites: remarques sur l’horizon de réception politique de l’ambrosianum mysterium à Milan, in Immagini, culti, liturgie: le connotazioni politiche del messaggio religioso. Images, cultes, liturgies: les connotations politiques du message religieux, Atti del primo Atelier internazionale del progetto Les vecteurs de l’idéel. Le pouvoir symbolique entre Moyen Âge et Renaissance (v. 1002-v. 1640), P. Ventrone, L. Gaffuri (a cura di), Milano, 2010 (in Annali di storia moderna e contemporanea, 16, 2010, p. 177-196); La violence du fondateur. Récits de fondation et souvenir ambrosien à Milan (xiiie-xvesiècles), in Ab urbe condita… Fonder et refonder la ville: récits et représentations (second Moyen Âge-premier xviesiècle), Actes du colloque international de Pau (14-15-16 mai 2009), textes réunis par V. Lamazou-Duplan, Pau, 2011, p. 127-145.

37 Burzer, San Carlo Borromeo…, op. cit.; Albuzzi, Alla ricerca dello stendardo perduto…, op. cit.

38 La posa equestre, ad esempio, si formalizza come icona dalle implicazioni vigorosamente politico-ideologiche durante il basso medioevo e non viene posta in discussione fino all’episcopato di san Carlo (si vedano le note 97 e sg.), allorquando subisce una vera e propria epurazione iconoclasta. Il riaffiorare trionfalistico dell’immagine durante il governo di Gaspare Visconti, successore del primo Borromeo, appare quanto meno imbarazzante qualora si voglia ricondurre — come spesso si è tentati di fare — ogni committenza di argomento religioso al vertice supremo del potere ecclesiastico. Se, tuttavia, come opportunamente nota Alessandro Rovetta, «si è pensato che il recupero del soggetto legato alla legittimazione dell’antico potere visconteo su Milano si potrebbe attribuire per orgoglio di casata al nuovo arcivescovo Gaspare Visconti», pur tenendo «conto che un simile atteggiamento si poteva leggere come una sconfessione del suo predecessore, Carlo Borromeo, rispetto al quale il prelato voleva invece porsi quale attento continuatore» (Rovetta, Ambrogio in Pinacoteca Ambrosiana, op. cit., p. 166; per quanto riguarda le perplessità che sembrano aver animato l’attitudine di Carlo nei confronti della rappresentazione ambrosiana equestre, rinvio alla nota 97), l’ipotesi del revival di influenza viscontea non può essere esclusa a priori dal momento che una replica della tela è conservata — e non sarà un caso — in S. Eustorgio (P. Biscottini, L’immagine di sant’Ambrogio nel periodo borromaico, in Ambrogio. L’immagine e il volto, op. cit., p. 26), convento che aveva stabilito con i Visconti un robusto trait d’union già a partire dalla fine del Duecento (Cariboni, Comunicazione simbolica, op. cit., p. 21-22). Ancora una volta, comunque, la realtà cangiante costringe a virare verso spiegazioni meno ovvie, perché proprio alla comunità del convento domenicano apparteneva Gaspare Bugato, rappresentante della fronda anticarolina (D. Zardin, San Carlo e la tradizione milanese del Seicento. Osmosi, identità civica e conflitti, in Carlo Borromeo e il cattolicesimo dell’età moderna. Nascita e fortuna di un modello di santità, Atti delle giornate di studio, Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, 25-27 novembre, M. L. Frosio e D. Zardin (a cura di), Milano/Roma, 2011 [= in Studia Borromaica, 25, 2011], p. 152-156). Si fa sempre più urgente, pertanto, la necessità di ricerche prosopografiche a tutto campo, volte a ricomporre, conferendo loro materiale consistenza, gli schieramenti trasversali che si erano andati annodando tra compagine laica e ecclesiastica dopo la morte di Carlo. Ancora: meriterebbe di essere compiutamente rivisitato in tutte le sue implicazioni il rapporto che legava la municipalità cittadina al suo santo protettore, in una fase di transizione assai delicata, e non solo sul versante istituzionale/religioso, soprattutto dopo che Carlo ebbe coltivato l’immagine e l’esperienza ambrosiana fin quasi a identificarvisi. Un rapporto, quello tra Milano e il suo celeste patrono, senza dubbio vigoroso, quasi indissolubile, ma comunque «aperto», se ben presto Ambrogio sarebbe stato affiancato da un altro santo «civico», lo stesso Carlo, come palesa quasi in un forma di manifesto programmatico passibile di una lettura a più livelli la pala del Salmeggia commissionata per l’altare della cappella di S. Maria della Neve nel Broletto Nuovo (M. Olivari, Scheda nr. 673, Enea Salmeggia…, Madonna in gloria col bambino e i santi Gregorio [sic] e Carlo Borromeo, in Museo d’arte antica del Castello Sforzesco. Pinacoteca, M. T. Fiorio [a cura di], III, Milano, 2001, p. 277-278). Andrà a questo riguardo rammentato comunque che, complici le dispersioni — la maggior parte dei dipinti superstiti è oggi custodita nelle Raccolte del Castello Sforzesco — l’ideazione, l’esecuzione e la decorazione iconografica dei principali edifici pubblici milanesi (Broletto nuovo, «nuovissimo», Tribunale di provvisione), nonché dei loro spazi liturgici difettano a tutt’oggi di ricerche approfondite. Né le fonti coeve o di poco posteriori hanno aiutato a risolvere univocamente eventuali aporie: nel caso della pala talpinesca, ad esempio, si limitano a menzionare il solo Ambrogio, tralasciando invece Carlo e riferendola a sedi apparentemente diverse (C. Torre, Il ritratto di Milano diviso in tre libri, Milano, 1674, p. 247, a proposito del Broletto Novissimo afferma: «nella sua piccola chiesa evvi sull’altare una tavola in pittura effigiando una Vergine madre con s. Ambrogio la quale fu colorita da Enea Salmazio», seguito da G. Biffi, Pitture, scolture et ordini d’architettura enarrate co’suoi autori, da inserirsi a’suoi luoghi, nell’opera di Milano ricercata nel suo sito, M. Bona Castellotti e S. Colombo [a cura di], Firenze, 1990 [Fonti per la storia dell’arte, 1], p. 113, che, soffermandosi sulla «chiesa del Broletto», ci tramanda una ancor più sintentica notizia: «la Vergine con sant’Ambrogio è d’Enea Salmatio»), cosicchè la logica conseguenza è sembrata: «il dipinto non è menzionato tra le opere perdute del Salmeggia dal Ruggeri [U. Ruggeri, Enea Salmeggia, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Cinquecento, IV, Bergamo, 1978, p. 245-385], né è identificabile con nessuno di quelli noti» (Biffi, Pitture, scolture et ordini d’architettura, op. cit., p. 113-114, nota 62). Rimane altresì oscura la decisione di riproporre con poche varianti, nel 1619, l’immagine equestre nientemeno che nella sacrestia del Duomo, ad opera del Genovesino (Annali della Fabbrica del Duomo di Milano dall’origine fino al presente, pubblicati a cura della sua amministrazione, V, Milano 1883, p. 109; V. Z[ani], Scheda nr. 33, Bartolomeo Roverio detto il Genovesino, Sant’Ambrogio sconfigge gli ariani, in Ambrogio. L’immagine e il volto, op. cit., p. 95): ma ancora una volta per uscire dall’impasse occorrerà ragionare tenendo ben distinte volontà dei fabbriceri e volontà del vescovo, due volontà che — quando la tela fu commissionata — andavano ormai confliggendo con esiti persino traumatici (A. Albuzzi, La Congregazione dello Scurolo di san Carlo. «Recta administratio» e promozione del culto tra decoro artistico e devozione, in Carlo Borromeo e il cattolicesimo dell’età moderna, op. cit., p. 417-455).

39 Quanto allo staffile, inevitabile il rinvio a P. Courcelle, Recherches sur saint Ambroise. «Vies» anciennes, culture, iconographie, Parigi, 1973 (Études augustiniennes. Antiquité, 52), p. 192; per il significato del flagello in senso antiereticale: G. Calligaris, Il flagello di sant’Ambrogio e le leggende delle lotte ariane, in Ambrosiana. Scritti varii, op. cit., p. 1-63. Recenti studi hanno tuttavia dimostrato che quello esibito nel rilievo santambrosiano non sarebbe un flagello bensì un aspersorio, così come fitte ombre di dubbio gravano sull’oggetto brandito dalla figura tradizionalmente riconosciuta in sant’Ambrogio nel rilievo di porta Romana, oggi alle Raccolte d’arte antica del castello Sforzesco: S. Zuffi, Un volto che cambia, una figura che si consolida: l’iconografia ambrosiana dalle origini all’età sforzesca, in Ambrogio e il suo volto, op. cit., p. 15-16; M. C. Ferrari, Die Porta Romana in Mailand (1171), in Literatur und Wandmalerei, 1. Erscheinungsformen höfischer Kultur und ihre Träger im Mittelalter, Freiburger Colloquium 1998, E. C. Lutz, J. Thali, R. Wetzel (a cura di), Tübingen, 2002, p. 115-152. Ricapitola lo status quaestionis, offrendo ulteriori esempi e spunti di riflessione per l’età borromaica, Rovetta, Ambrogio in Pinacoteca Ambrosiana, op. cit., p. 163-164, 166-167: a cavallo tra Cinque e Seicento lo staffile sembra assumere un significato più volatile ed esornativo, specialmente — ma non esclusivamente — grazie alla sinergia di intenti affermatasi tra Federico e il Cerano. Così se nella tela ambrosiana del Peterzano (eseguita entro il 1594, nota 57) e nel dipinto del Salmeggia (licenziato nel 1603, nota 38 e 88) è riposto ai piedi del santo, sui gradini, lo staffile scompare nella pala del Barocci, per trasformarsi poi in elegante nastro teatralmente sostenuto oppure mollemente adagiato quasi fosse un segnalibro rispettivamente nell’Ambrogio ceranesco della Pinacoteca Ambrosiana (fig. 6: M. Rosci, Il Cerano, Milano, 2000, Scheda nr. 112, Sant’Ambrogio, p. 179-180; riferimenti anche nelle Schede nr. 28, 61-63, 109-111, 116-119 e 126; F. Frangi, Scheda nr. 209, Cerano, Giovan Battista Crespi detto…, Sant’Ambrogio, in Pinacoteca Ambrosiana, 2, Dipinti dalla metà del Cinquecento alla metà del Seicento. Catalogo, B. W. Meijer, M. Rossi, A. Rovetta [a cura di], Milano, 2006 [Musei e Gallerie di Milano], p. 114-117) e nel Cristo risorto con santi, realizzato sempre dal Crespi per il nuovo altare maggiore della chiesa monastica di S. Vittore a Meda, altare inaugurato nel 1626 da Federico Borromeo (M. Rosci, Scheda nr. 157, Cristo risorto con i santi Pietro, Ambrogio, Agostino, Vittore e una monaca, in Id., Il Cerano, op. cit., p. 234-237, e J. Stoppa, Scheda nr. 47, Resurrezione con santa Scolastica, san Paolo, sant’Ambrogio, san Benedetto, san Dalmazio e san Vittore, in Il Cerano, 1573-1632. Protagonista del Seicento lombardo, [Catalogo della mostra, Milano, Palazzo Reale, 24 febbraio-5 giugno 2005], M. Rosci (a cura di), Milano, 2005, p. 194-195, dove le diverse identificazioni dei soggetti rappresentati — a parte la macroscopica svista san Paolo/san Pietro — traggono giustificazione dalle descrizioni accolte in alcune visite pastorali settecentesche).

40 Un primissimo repertorio iconografico correda la voce G. D. Gordini, M. Simonetti, B. Parodi d’Arenzano, R. Aprile, Ambrogio vescovo di Milano, dottore della Chiesa, santo, in Bibliotheca sanctorum, I, Roma, 1961, col. 946-990 (in particolare col. 990); C. Geddo, S. Paoli, I santi Ambrogio e Carlo: una pagina inedita di iconografia ambrosiana, in La città e la sua memoria, op. cit., p. 298-307; Biscottini, L’immagine di sant’Ambrogio nel periodo borromaico, op. cit., p. 23-29; Rovetta, Ambrogio in Pinacoteca Ambrosiana, op. cit., p. 155-186.

41 Fig. 1.

42 M. M[ojana], Scheda nr. 31, Federico Barocci…, Il perdono di Ambrogio a Teodosio, in Ambrogio. L’immagine e il volto, op. cit., p. 92-93.

43 Per l’interpretazione tradizionale: Mostra di Federico Barocci (Urbino, 1535-1612), Bologna, Museo civico, 14 settembre-16 novembre 1975, Catalogo critico con un repertorio dei disegni di Giovanni Gaeta Bertelà, A. Emiliani (a cura di), Bologna, 1975 (Biennale d’arte antica della Città di Bologna, 9); A. Emiliani, Federico Barocci (Urbino 1535-1612), Ancona, 2008 (I protagonisti. Ars books), rielaborazione aggiornata e notevolmente arricchita della prima edizione (Bologna, 1985); S. Bandera, Nuovi ragguagli sui rapporti tra Federico Borromeo e Federico Barocci, in Studi di storia dell’arte in onore di Mina Gregori, Cinisello Balsamo, 1994, p. 178-182; M. Bonomelli, Federico Barocci e la committenza milanese della Fabbrica del Duomo, in Libri & documenti, 19, 1993, p. 18-25.

44 A. Marchi, Alessandro Vitali (Urbino, 1580-4 luglio 1630), in Nel segno di Barocci. Allievi e seguaci tra Marche, Umbria, Siena, A. M. Ambrosini Massari, M. Cellini (a cura di), Milano, 2005, p. 134-141.

45 M. Sangalli, Federico Barocci o delle controriforme: tra Filippo Neri, i cappuccini, Federico Borromeo. Roma Urbino Milano, in Federico Barocci, 1535-1612. L’incanto del colore. Una lezione per due secoli, Catalogo [della mostra tenuta a Siena nel 2009-2010], A. Giannotti, C. Pizzorusso (a cura di), Cinisello Balsamo, 2009, p. 156-165.

46 M. Mojana, Tre lettere per un dipinto. Dal carteggio inedito del cardinale Federico Borromeo con il pittore Federico Barocci, in Studia Borromaica, 12, 1998, p. 371-381.

47 F. Sangiorgi, Committenze milanesi a Federico Barocci e alla sua scuola nel carteggio Vincenzi della Biblioteca universitaria di Urbino, Urbino, 1982 (Collana di studi e testi, 10); ragguagli sul carteggio della famiglia Vincenzi anche in Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, 80, Biblioteca universitaria di Urbino, L. Moranti (a cura di), Firenze, 1954, p. 85-100.

48 M. Rosci, La fascinazione cromoluministica di Barocci in Lombardia, in Federico Barocci, 1535-1612. L’incanto del colore, op. cit., p. 166-171, citazione a p. 170.

49 Per un rapido quadro di sintesi, alcune acquisizioni inedite e qualche spunto bibliografico mi permetto di rinviare ad A. Albuzzi, La veneranda Fabbrica del Duomo di Milano e il suo archivio. Uomini, uffici, ordinamenti tra quotidiana amministrazione e memoria storica, in La casa di Dio, la fabbrica degli uomini, gli archivi delle fabbricerie, Atti del Convegno di Ravenna (26 settembre 2008), G. Zacchè (a cura di), Modena, 2009 (Centro studi interregionale sugli archivi ecclesiastici, 13), p. 73-120; Ead., Il Duomo e la città: un dialogo ininterrotto, in Il cuore di Milano. Identità e storia di una «capitale morale», D. Zardin (a cura di), Milano, 2012, p. 49-64.

50 Albuzzi, La Congregazione dello Scurolo di san Carlo, op. cit.

51 E. Brivio, La Fabbrica del Duomo. Storia e fisionomia, in Il Duomo cuore e simbolo di Milano. iv Centenario della dedicazione (1577-1977), Milano, 1977 (Archivio ambrosiano, 32), p. 15-155 (sui rapporti tra la Fabbrica e Federico: p. 81-84).

52 Apparentemente dissonanti infatti il carteggio della Fabbrica (M. C. Terzaghi, Carlo Borromeo santo, in Il Cerano, 1573-1632, op. cit., p. 155, nota 14: «nella corrispondenza tra la Fabbrica e i deputati per le cerimonie della canonizzazione a Roma» si fa «più volte riferimento a questa spesa») e una citazione di S. Latuada, Descrizione di Milano, ornata con molti disegni in rame delle fabbriche più cospicue che si trovano in questa metropoli, I, Milano, 1737, p. 142, che, a proposito della croce di S. Salvatore, così si esprime: «conserva questa croce un insigne ed alto quadro rappresentante il suo santo protettore [scil. san Galdino], dipinto nell’anno 1610 da Giambattista Secco e mandato a Roma con gli altri de santi arcivescovi fatti dalle croci della città per festeggiare la canonizzazione di san Carlo Borromeo». Su queste basi lacunose Frangi, Scheda nr. 209, op. cit., p. 116, inferiva come sicure per lo meno la committenza e l’esecuzione milanese dell’apparato di facciata; Terzaghi, Carlo Borromeo santo, op. cit., riproponeva invece problematicamente la questione, suggerendo un ventaglio di ipotesi: «o il Latuada fa confusione tra i ritratti di arcivescovi inviati a Roma e quelli che la compagnia delle Croci volle per proprio ornamento a Milano, o i fabbriceri, avendo molte spese da sostenere, girarono l’onere alla devota confraternita istituita da san Carlo, oppure vi erano due apparati pressoché identici a Milano e Roma per i quali gli artisti vennero chiamati a fornire due repliche del medesimo soggetto».

53 Fondate dal primo Borromeo, che assegnò loro un mistero, furono ridisegnate da Federico Borromeo nel 1610, che in aggiunta le vincolò a un santo vescovo (Archivio storico civico [d’ora innanzi ASCMI], Triv. 1765, f. 3r). Per una bibliografia di minima: M. Olivieri Baldissarri, I «poveri prigioni». La confraternita della Santa Croce e della Pietà dei carcerati a Milano nei secoli XVI-XVIII, Milano, 1985; M. A. Crippa, F. Zanzottera, Una Milano sconosciuta. La geografia dei segni sacri da Carlo Borromeo a Maria Teresa d’Austria, Milano, 2000 (Le strenne del Pio Istituto rachitici [ora Istituto ortopedico Gaetano Pini] relative a Milano ed alla Lombardia, 59). Quanto poi alla gestione, anche patrimoniale, dell’apparato effimero romano, mi permetto di rinviare, invece, ad Albuzzi, Alla ricerca dello stendardo perduto, op. cit.

54 F. Rivola, Vita di Federico Borromeo, cardinale del titolo di Santa Maria degli Angeli, ed arcivescovo di Milano, Milano, Milano, 1656, p. 534-535, richiamato da A. Rovetta, Bartolomeo Roverio detto il Genovesino tra la Croce del Cordusio e l’Ambrosiana, in Studi in onore di Francesca Flores d’Arcais, M. G. Albertini Ottolenghi e M. Rossi (a cura di), Milano, 2010 (Quaderni di storia dell’arte, 1), p. 171-177, che a sua volta ha individuato ulteriori e limpide conferme sia in alcuni passi trasmessi da un manoscritto di casa Trivulzio (BAMI, Trotti 72), anonimo, tardo secentesco e ruotante attorno alla storia della croce del Cordusio, sia nelle spigolature (riunite in BAMI, S 159 inf.) condotte su detto codice da Pietro Mazzucchelli, che vi poté attingere a motivo dei compiti svolti per la famiglia che ne era proprietaria (C. Pasini, Dalla biblioteca della famiglia Trivulzio al fondo Trotti dell’Ambrosiana [e «l’inventario di divisione» Ambr. H 150 suss., compilato da Pietro Mazzucchelli], in Aevum, 67, 1993, p. 647-685): «L’anno 1610, il sudetto rev. Signor priore generale [Andrea Bono] a ciascuna compagnia [della S. Croce] assegnò un santo arcivescovo di Milano, e allla nostra compagnia assegnò S. Barnaba, primo arcivescovo di Milano, il quale fu fatto pingere da Bartholomeo Genovesino sopra tela a guazzo in abito apostolico di altezza de br. […] e di larghezza br. […], pittura tra le altre molto riguardevole, il quale con li altri fu mandato a Roma per la santificatione di S. Carlo e compartiti nella porta trionfale, che si fece avanti la chiesa di S. Pietro, e il nostro di s. Barnaba fu posto in cima di detta porta, come fondatore della chiesa di Milano» (BAMI, S 159 inf., f. 39r, citato da Rovetta, Bartolomeo Roverio detto il Genovesino, op. cit., p. 172). Ancora: «Leggiamo che al rientro il dipinto venne restaurato e inquadrato in una bella cornice “nera e oro” mentre tutte le altre effigi furono collocate in S. Sepolcro» (Rovetta, Bartolomeo Roverio detto il Genovesino, op. cit., p. 172, sempre sulla scorta di BAMI, S 159 inf., f. 34). In questa prospettiva, trovano dunque un’armonica composizione tanto il passo del Latuada, ricordato dalla Terzaghi, quanto la testimonianza di un altro codice tardo settecentesco dedicato alle Compagnie della S. Croce, anch’esso posseduto dai Trivulzio e oggi consultabile in Milano, ASCMI, Triv. 1765 (= G. Porro [Lambertenghi], Catalogo dei codici manoscritti della Trivulziana, Torino, 1884, nr. 1884), nel quale, tuttavia, è curiosamente assente la parte consacrata alla croce del Cordusio. Omissione casuale? Una volta di più si imporrebbe uno scandaglio sinottico delle fonti, ancora tutto da intraprendere.

55 Albuzzi, Alla ricerca dello stendardo perduto…, op. cit.

56 ASCMI, Triv. 1765: «La compagnia della S. Croce a S. Vittore al Teatro fu eretta dal cardinale Federigo Borromeo perché nell’anno 1607 le fu dato per misterio della passione di nostro Signore Gesù Christo quando Gesù pregò il Padre per i crocifissori e per santo protettore s. Ambroggio [12] arcivescovo di Milano dal medemo similmente concessoli l’anno 1610 perché trovasi nel libro de Successi maravigliosi di s. Carlo [il riferimento è al Grattarola, Successi maravigliosi, op. cit., p. 306, sub voce S. Vittore ne’Legnamari] essersi fatto un solenne aparato a questa croce per la santificazione del detto s. Carlo ed il quadro che tiene sii stato mandato a Roma assieme molti altri delle Compagnie delle S. Croci il detto 1610» (f. 19r). Per la notissima tela realizzata dal Cerano si veda precedente nota 39.

57 Fig. 2: M. Pavesi, Scheda nr. 266, Simone Peterzano (Bergamo, 1535 circa-Milano, 1599), Sant’Ambrogio tra i santi Gervaso e Protaso, in Pinacoteca Ambrosiana, 2, Dipinti dalla metà del Cinquecento alla metà del Seicento. Catalogo, B. W. Meijer, M. Rossi, A. Rovetta (a cura di), Milano, 2006 (Musei e Gallerie di Milano), p. 192-195. Donato alla Pinacoteca nel 1927 da Gian Carlo Gallarati Scotti (A. Rovetta, La Pinacoteca da Giovanni Galbiati ad Angelo Paredi: allestimenti, acquisizioni, mostre e restauri, in Storia dell’Ambrosiana, Il Novecento, Milano, 2002, p. 181), attribuito ad Ambrogio Figino (Inv. 222 e G. Galbiati, Itinerario per il visitatore della Biblioteca Ambrosiana, della Pinacoteca e dei monumenti annessi, Milano, 1951, p. 108), venne restituito al Peterzano da Marco Valsecchi (Nuove aggiunte al Peterzano, in Studi in onore di Antonio Morassi, Venezia, 1971, p. 178-179) e da Maurizio Calvesi (Caravaggio e la ricerca della salvazione, in Storia dell’arte, 1971, p. 96; Simone Peterzano. Studio critico, in I pittori bergamaschi. Il Cinquecento, op. cit., p. 488). Il termine ante quem dell’esecuzione è incontrovertibilmente il 15 settembre 1594, dal momento che l’espressione «posta in opera, attesa la collaudatione» — riferita alla pala nel relativo mandato (Annali della Fabbrica del Duomo di Milano dall’origine fino al presente, pubblicati a cura della sua amministrazione, IV, Milano, 1881, p. 292, da AVFDMI, Mandati, ad annum) — andrà intesa come «già collocata in loco, dopo la perizia di routine»; sappiamo del resto che l’altare di S. Ambrogio era stato ultimato da Francesco Mantegazza entro il 27 giugno 1594 (Annali della Fabbrica del Duomo, op. cit., IV, p. 291, da AVFDMI, Ordinazioni capitolari, 17, f. 29r, oltre a Ibid., Archivio storico, cart. 188, par. 23, fasc. 22). Quanto agli esordi, invece, le tappe sono meno precisamente definibili ma altrettanto eloquenti: il 30 luglio 1592 «lecto memoriali Simonis Peterzani de Ticianis», che con tutta evidenza aveva proposto la sua candidatura ai fabbriceri, si dà mandato al pittore bergamasco di realizzare «una ex anchonis ponendis ad altaria sub titulo Sancti Ambrosii seu Sanctæ Mariæ ad Nivem», ovvero uno dei due ultimi altari della navata (Annali della Fabbrica del Duomo, op. cit., IV, p. 277, da AVFDMI, Ordinazioni capitolari, 16, f. 101v); già il 26 agosto 1593 (Annali della Fabbrica del Duomo, op. cit., IV, p. 281, da AVFDMI, Ordinazioni capitolari, 16, f. 156r) l’«anchona Sancti Ambrosii» era «perficienda».

58 Pavesi, Scheda nr. 266, op. cit., p. 193.

59 Ad esempio, fig. 3 (che propone giusta il perdono di Teodosio). Sul coro ligneo, imponente opera che presuppone una complessa vicenda realizzativa e rinvia a una ampia gamma di chiavi di lettura, ma che, tuttavia, meriterebbe ulteriori approfondimenti, il rinvio obbligato è ancor’oggi a A. Paredi, A. M. Brizio, Sant’Ambrogio nell’arte del Duomo di Milano, Milano, 1973; si tenga conto inoltre di E. Brivio, M. Navoni, Vita di sant’Ambrogio narrata nell’antico coro ligneo del Duomo di Milano, Milano, 1996; Dallaj, Carlo Borromeo e il tema iconografico, op. cit., p. 649-680.

60 M. M[ojana], Scheda nr. 28, Camillo Procaccini…, Ambrogio ferma Teodosio sulla porta della Basilica, in Ambrogio. L’immagine e il volto, op. cit., p. 88-89; anche Antoon van Dyck si cimentò col soggetto, una prima volta — tra il 1615 e il 1616 — in collaborazione con Pieter Paul Rubens, che ne aveva realizzato il disegno preparatorio; in seguito — tra il 1619 e il 1620 — autonomamente (le due tele si conservano rispettivamente al Kunsthistorisches Museum di Vienna e alla National Gallery di Londra). All’«Invitta costanza d’Ambrosio nel prohibire all’Imperadore l’entrata nel tempio» è dedicata inoltre una «concione» di Federico, la quinta tra le dieci epitomate sotto l’iscrizione «nel giorno di sant’Ambrosio» e ispirate dal grande predecessore (F. Borromeo, I sacri ragionamenti… fatti nelle solennità del Signore, della Vergine, de’santi, e nel tempo della pestilenza, e variamente secondo che nel titolo di ciascun volume si vede, disposti, IV/VI, Milano, 1646, p. 55-103: p. 69-72).

61 Nonostante la recente reviviscenza di interesse per la figura di Federico — principe e filosofo, raffinato cultore delle lettere e patrocinatore delle arti — abbia prodotto un’esuberante fioritura di risultati (basti qui il rinvio ai convegni promossi dalla Accademia Ambrosiana: atti in Studia Borromaica, 15-19, 2001-2005), a tutt’oggi manca un’analisi sistematica che approfondisca e traduca in sintesi i numerosi spunti storiografici emersi. In particolare, per quanto riguarda uno dei nodi centrali del dibattito, il rapporto tra il cardinale e il suo illustre cugino, nonché predecessore, oltre che in riferimento alla più precisa valutazione dell’incidenza che il modello rappresentato dalla figura di Carlo — come vescovo e pastore — ebbe sull’agire del secondo Borromeo, pionieristico nel re-impostare i termini dello status quaestionis, sottraendolo a schematismi ormai sedimentati e additando piste di ricerca allora sostanzialmente intonse, è stato C. Mozzarelli, Federico Borromeo e il mestiere di principe. Prime considerazioni, in Federico Borromeo, fonti e storiografia, Atti delle giornate di studio 24-25 novembre 2000, M. Marcocchi e C. Pasini (a cura di), Milano, 2001 [= in Studia Borromaica, 15, 2001], p. 247-260, ora pure in Id., Tra terra e cielo. Studi su religione, identità e società moderna, F. Buzzi, D. Zardin (a cura di), Milano/Roma, 2005, p. 151-166. Sull’ascendente esercitato da Agostino Valier, in particolare attraverso il De cauta imitatione sanctorum episcoporum, volto a mitigare il confronto con un modello impegnativo, arduo da eguagliare, a partire da una discreta, prudente relativizzazione di «tempora» ed «ingenia», è tornata M. Giuliani, Il vescovo filosofo. Federico Borromeo e «I sacri ragionamenti», Firenze, 2007 (Biblioteca della Rivista di storia e letteratura religiosa. Studi, 18), p. 137-145. Quanto alle diverse strategie adottate dai due cugini in relazione alle «attioni e fontioni sacre»: C. Bernardi, «L’opere di Dio». Liturgia, rituali e devozioni nell’opera pastorale di Federico Borromeo, in Federico Borromeo vescovo, Atti delle giornate di studio, 22-23 novembre 2002, D. Zardin (a cura di), Milano/Roma, 2003 [= in Studia Borromaica, 17, 2003], p. 247-290. Mentre per la continuità e le discrepanze tra l’operato dei due presuli nel «disciplinamento»: W. de Boer, La conquista dell’anima. Fede, disciplina e ordine pubblico nella Milano della Controriforma, Torino, 2004 (Biblioteca di cultura storica Einaudi, 249) [traduzione italiana di: The Conquest of the Soul. Confession, Discipline, and Public Order in Counter-Reformation Milan, Leida, 2001 (Studies in medieval and Reformation thought, 84)]. In merito, infine, al coinvolgimento personale di Federico nella costruzione della memoria carolina attraverso le immagini, un coinvolgimento più partecipe per quel che concerne l’allestimento degli affreschi nel Collegio Borromeo di Pavia, a Milano meno scoperto e appariscente — per ovvie ragioni — in occasione dei preparativi che sfociarono nella canonizzazione e nei relativi festeggiamenti: Albuzzi, «Per compire l’apparato che suole farsi ogn’anno nel Duomo di Milano», op. cit.; Burzer, San Carlo Borromeo, op. cit., p. 113-136.

62 Trasparenti in questo senso alcuni atteggiamenti assunti da Federico Borromeo durante la missione del visitador regio don Felipe de Haro (1606-1607): pur improntati alla moderazione, unica condizione possibile per propiziare quella quietud in materia giurisdizionale agognata da entrambi le parti in causa, non mancarono di essere stigmatizzati dal re di Spagna, Filippo III, perché privi della «limitacion y compostura» dovuta da un vassallo (M. C. Giannini, Politica spagnola e giurisdizione ecclesiastica dello Stato di Milano: il conflitto tra il cardinale Federico Borromeo e il visitador regio don Felipe de Haro [1606-1607], in Studia Borromaica, 6, 1992, p p. 195-226, soprattutto p. 219-221; citazione a p. 221). Sull’atteggiamento non sempre diplomaticamente avveduto ostentato da Federico nei confronti della monarchia spagnola, l’intuizione di Prodi, Bascapè, Carlo, op. cit., p. 37, è confermata anche dalla ricca esemplificazione analizzata da Agostino Borromeo in numerosi contributi (nella fattispecie La Corona spagnola e le nomine agli uffici ecclesiastici nello Stato di Milano da Filippo II a Filippo IV, in Lombardia borromaica, Lombardia spagnola [1554-1659], Atti del Convegno internazionale, Pavia, 17-21 settembre 1991, P. Pissavino, G. Signorotto (a cura di), I, Roma, 1995, p. 573-575).

63 C. Continisio, Lex domini convertens animas. Ragion di Stato e ragion di Dio nel pensiero di Federico Borromeo, in La corte en Europa. Política y religión (siglos XVI-XVIII), J. Martínez Millán, M. Rivero Rodríguez, G. Versteegen (a cura di), vol.I, Madrid, 2012, p. 713-737.

64 Sconfinata — come è ovvio che sia — la letteratura generale sul tema, riconoscibile come «la passione politica del Seicento, che coinvolse tutti, nobili e plebei, letterati e illetterati, e persino l’ultimo del cavalieri erranti» (M. D’Addio, La ragion di stato e il problema dei rapporti fra politica e morale, in Cultura politica e società a Milano tra Cinque e Seicento, Atti delle giornate di studio, Milano, 19-20 novembre 1999, F. Buzzi, C. Continisio (a cura di), Milano, 2000 [in Studia Borromaica, 14, 2000]), p. 15-38), mi limiterò qui a richiamare alcuni contributi che si concentrano su Federico e sulla cerchia di intellettuali da lui protetti e ispirati: C. Mozzarelli, Dalla grazia cortigiana alla ragion di Stato cattolica, ovvero un percorso della legittimazione politica da Carlo V a Filippo II, in Annali di storia moderna e contemporanea, 7, 2001, p. 477-481; Id., «Senso cristiano e fine religioso», fondazione pattizia e «appetitus societatis». Il benedettino milanese don Pio Muzio e le sue Considerationi sopra Cornelio Tacito (1623), in Cultura politica e società a Milano, op. cit., p. 199-215; Id., Federico Borromeo e il mestiere di principe, op. cit.; C. Continisio, Il libro intitolato «La gratia de principi»: virtù, politica e ragion di stato in Federico Borromeo, in Federico Borromeo principe e mecenate, Atti delle giornate di studio, 21-22 novembre 2003, C. Mozzarelli (a cura di), Milano/Roma, 2004 [= in Studia Borromaica, 18, 2004], p. 97-115.

65 Devo l’informazione a Chiara Continisio, che qui nuovamente ringrazio.

66 Borromeo, I sacri ragionamenti…, IV/VI, vi, p. 72-78; sul contrasto tra Ambrogio e Teodosio, Federico si era già soffermato nel quinto ragionamento (v. precedente nota 60), spostando l’accento, tuttavia, sulla fermezza e il coraggio del santo pastore, dal momento che «in presenza di tutto il popolo, in un solenne giorno, e quasi nel teatro del mondo si giudica e si sentenzia e si puniscono le malvage opere d’un imperadore», e prendendo il destro per ribadire il ruolo guida che nel sistema socio-politico postridentino era affidato ai sacerdoti e ai vescovi: «essi sono i maestri, essi le guide, essi il lume de’popoli, essi la legge viva ed essi con la loro bontà il tutto rendono perfetto. Questa somma potestà che hoggidì veggiamo adoperarsi non pure co popoli, e con la minuta gente ma etiamdio co monarchi del mondo» (ibid., p. 71).

67 Borromeo, I sacri ragionamenti…, IV/VI, vi, p. 77 (e 74). Il concetto — seppur declinato secondo formulazioni mutevoli — riaffiora quale frequente motivo di fondo nelle opere di Federico, come si potrebbe documentare passando al setaccio i Sacri ragionamenti; basti qui ricordare, per la sua manifesta visibilità, la dichiarazione d’intenti con cui il presule si presentò al proprio clero nel discorso pronunciato durante il primo sinodo diocesano del 1596: «quasi convenga a chi regge, e governa i popoli, studiosamente temperare la misericordia con la giustitia, e la dolcezza con la severità, e col rigore. Per la testimonianza delle quali autorità, o sacerdatole raunanza, parmi esser certissimo, che se io saprò mescolare il dolce liquore con l’amaro, profittevoli saranno i miei futuri ragionamenti», dove non è difficile avvertire l’eco del precetto oraziano «miscere utile dulci» (F. Borromeo, I sacri ragionamenti sinodali, I, iii, Milano, 1632, p. 28-29).

68 Salvadeo, Le relazioni fra il card. Federico Borromeo e Carlo Bascapè…, op. cit.; utili spunti si rinvengono nei Commentarii de Ecclesia Mediolanensi, ab obitu sancti Caroli ad annum 1613 del medesimo Bascapè (l’opera nota anche come De Gaspare archiepiscopo. De Federico archiepiscopo et cardinali [cf. Chiesa, Vita di Carlo Bascapè, op. cit., p. 640, nota 125] è stata pubblicata, di seguito alla Vita di Gaspare Visconti arcivescovo di Milano, sotto il titolo I primi diciotto anni dell’arcivescovo di Milano Federico cardinale Borromeo, in C. Annoni, Documenti spettanti alla storia della S. Chiesa milanese, Como, 1839, p. 37-111).

69 Come è noto, fresco arcivescovo di Milano (aprile 1595), Federico trovò opportuno abbandonare la città in seguito a nuove controversie giurisdizionali insorte con i rappresentanti del potere spagnolo (1596) e vi fece ritorno soltanto cinque anni più tardi, una volta designato governatore Pedro Enríquez de Acevedo y Toledo, conte di Fuentes. In realtà, per conoscere una vera tregua, il conflitto dovette attendere l’arrivo del governatore Pedro Álvarez de Toledo y Osorio (1615) e la firma della Concordia iurisdictionalis inter forum ecclesiasticum et forum saeculare Mediolani, poi ratificata da Paolo V e Filippo III (1617) e pubblicata a Milano nel 1618. Per un primo orientamento, rinvio alla bibliografia ragionata che ho messo a punto in La Congregazione dello Scurolo di san Carlo, op. cit., p. 430-431, nota 18.

70 Sugli esordi della munifica iniziativa patrocinata da Federico: Storia dell’Ambrosiana, I, Il Seicento, Milano, 1992, oltre ai contributi accolti nella miscellanea Federico Borromeo fondatore della Biblioteca Ambrosiana, Atti delle giornate di studio, 25-27 novembre 2004, F. Buzzi, R. Ferro (a cura di), Milano/Roma, 2005 [= in Studia Borromaica, 19, 2005].

71 Giuliani, Il vescovo filosofo…, op. cit. Si veda anche: de Boer, La conquista dell’anima, op. cit., p. 137-138.

72 La lettura oggi più largamente condivisa dell’episodio — nonostante sia ancor ben lontano il raggiungimento di un’interpretazione unanime — esclude la volontà ambrosiana di infliggere una pesante umiliazione al suo potente interlocutore, bensì mette in risalto l’aspetto umano ed anche finemente strategico dell’intera operazione: per Teodosio si sarebbe organizzato un perdono pubblico affinché la sua immagine ne uscisse rafforzata e potesse consolidarsi la sua autorevolezza, in una fase politica estremamente delicata. Soccorrerebbe questa interpretazione la fonte più autorevole e immediata, il De obitu Teodosii, scritto dal medesimo Ambrogio, non filtrata da anacronistiche categorie gelasiane, che legittimerebbero una contrapposizione netta tra potere politico e spirituale; in proposito la sintesi più recente ed equilibrata si deve a H. Leppin, Theodosius der Grosse, Darmstadt, 2003 [traduzione italiana: Teodosio il grande, Roma, 2008 (Profili, n.s., 44)].

73 Per un esempio di allusività politica, artisticamente espressa e apprezzata da Federico: L. C. Cutler, Representing an Alternative Empire at the Court of Cardinal Federico Borromeo in Habsburg Milan, in The Possessions of a Cardinal, Politics, Piety, and Art, 1450-1700, M. Hollingsworth, C. M. Richardson (a cura di), University Park (Pa), 2010, p. 249-264.

74 Giuliani, Il vescovo filosofo…, op. cit., p. 148, 152. Sugli orientamenti storico-artistici del Borromeo, oltre alla monografia di B. Agosti, Collezionismo e archeologia cristiana nel Seicento. Federico Borromeo e il medioevo artistico tra Roma e Milano, Milano, 1996 (Di fronte e attraverso, 399- Storia dell’arte, 8), che rimarca la precoce apertura del presule a una rigorosa sensibilità filologico-antiquaria, imprescindibili sono i contributi di P.M. Jones: Federico Borromeo e l’Ambrosiana. Arte e riforma cattolica nel XVII secolo a Milano, Milano, 1997 (Arti e scritture, 9) [traduzione italiana di: Federico Borromeo and the Ambrosiana. Art patronage and reform in Seventeenth-Century Milan, Cambridge, 1993]; Federico Borromeo scrittore religioso e mecenate d’arte: il frutto maturo di un umanesimo cristiano, in Studia Borromaica, 10, 1996, p. 11-38; Art’s role in personal reform: Christian optimism and Federico Borromeo’s Pinacoteca Ambrosiana, in I tempi del Concilio. Religione, cultura e società nell’Europa tridentina, C. Mozzarelli, D. Zardin (a cura di), Roma, 1997 (Europa delle corti. Centro studi sulle società di antico regime. Biblioteca del Cinquecento, 70), p. 387-408.

75 Rovetta, Ambrogio in Pinacoteca Ambrosiana…, op. cit., p. 169-170.

76 Albuzzi, Per compire l’apparato che suole farsi ogn’anno nel Duomo di Milano…, op. cit., p. 242-252 e 289-300 (Appendice VI).

77 Dall’originale conservato presso la Biblioteca Universitaria dell’Università degli studi di Urbino, Fondo della Congregazione di Carità, busta 37, fasc. IV, f. 422r (colgo qui l’occasione di ringraziare il dottor Federico Marcucci per l’aiuto offertomi), edito anche in Sangiorgi, Committenze milanesi a Federico Barocci, nr. XIX, op. cit., p. 34.

78 Paredi-Brizio, Sant’Ambrogio nell’arte del Duomo di Milano…, op. cit.

79 Si raffrontino, ad esempio, le fig. 4 e 5. Per il contributo prestato da Camillo Procaccini alla realizzazione dei dossali lignei si rinvia a Paredi-Brizio, Sant’Ambrogio nell’arte del Duomo di Milano, op. cit., p. 74-77, dove vengono riprodotti anche i disegni preparatori (Sant’Ambrogio in estremo di morte che prega, Sant’Ambrogio a letto ammalato, Sant’Ambrogio moribondo, S. Ambrogio sul cataletto sormontato da una stella); le rispettive formelle lignee, realizzate da Virgilio del Conte e Giacomo Taurino, su modello di Francesco Brambilla, alle p. 210-211, 212-213, 214-215, 216-217.

80 Rovetta, Ambrogio in Pinacoteca Ambrosiana…, op. cit., p. 169-170.

81 Ibid., p. 166-167, nota 30; quanto al dipinto del 1595: G. Valagussa, Scheda nr. 376, Gerolamo (?) Meda…, Madonna col bambino in trono tra i santi Ambrogio e Galdino, in Quadreria dell’Arcivescovado, M. Bona Castellotti (direzione scientifica di), Milano, 1999 (Musei e gallerie di Milano, 19), p. 337-339; D. Zardin, La curia arcivescovile al tempo del cardinal Federico, in Federico Borromeo vescovo, op. cit., p. 31-34.

82 Si veda in proposito precedente nota 62.

83 Brivio, La Fabbrica del Duomo-Storia e fisionomia…, op. cit., p. 79-80.

84 Guido fu deputato in qualità di dottore collegiato nel 1585 e nel 1592; Alessandro negli anni 1591, 1592, 1597, 1598, 1601, 1602, 1609, 1610, 1614, 1615 e 1630 (Annali della Fabbrica del Duomo, op. cit., IV e V, ad annum).

85 V. Milano, I fratelli Mazenta negli episcopati di Gaspare Visconti e Federico Borromeo, in Arte lombarda, n. s., 131, 2001, p. 67-72. Ragguagli recenti intorno al più noto tra i fratelli, l’architetto barnabita Giovanni Ambrogio: J. Stabenow, Esigenze liturgiche e spazio della chiesa. Su alcuni fenomeni dell’architettura ecclesiastica del primo Seicento tra Milano, Bologna e Roma, in Barocco padano, I, Atti del IX Convegno internazionale sulla musica sacra nei secoli XVII-XVIII, Brescia, 13-15 luglio 1999, Como, 2002, p. 39-66; K. Takahashi, Mazenta e Guido Reni. Il San Carlo per la chiesa dei Catinari a Roma, in Lorenzo Binago e la cultura architettonica dei Barnabiti, Atti del convegno, M. L. Gatti Perer, G. Mezzanotte (a cura di), Milano, 2002 [= in Arte lombarda, n. s., 134 (2002/1)], p. 174-179; A. Scotti, Lo stato di Milano, in Il Seicento, A. Scotti Tosini (a cura di), Milano, 2003 (Storia dell’architettura italiana, 2), p. 424-469; M. Giuliani, La fortuna di Federico Borromeo nella Roma dei Barberini. Note in margine al carteggio Dal Pozzo-Mazenta, in Studi in memoria di Cesare Mozzarelli, I, Milano, 2008 (Storia. Ricerche), p. 325-350. Sul prestigioso clan anche: E. Verga, La familia Mazenta e le sue collezione d’arte, in Archivio storico lombardo, 45, 1918, p. 267-295.

86 Basta sfogliare a riguardo lo scambio epistolare intercorso tra i fratelli Vincenzi, anche per comprendere il legame di più ampio respiro che vincolava questi ultimi ai Mazenta: Sangiorgi, Committenze milanesi a Federico Barocci, op. cit., lettere nr. 6, 8, 20, 30, p. 22-23, 24-25, 34-36, 42-43.

87 Puntuali cenni in Albuzzi, «Per compire l’apparato che suole farsi ogn’anno nel Duomo di Milano», op. cit., p. 13-14.

88 Olivari, Scheda nr. 673, Enea Salmeggia…, Madonna in gloria, op. cit.

89 Il documento cronologicamente più arretrato che riguarda la fabbrica dell’Ambrosiana data al 22 febbraio 1603, quando Federico, attraverso gli oblati, chiese alla municipalità milanese «conceder licenza di poter far la sudetta Libraria»: A. C. Buratti, Da Libreria Borromea a Biblioteca Ambrosiana: genesi ed evoluzione di un’idea nei suoi disegni di progetto, in Storia dell’Ambrosiana, I, Il Seicento, op. cit., p. 259.

90 Rosci, I quadroni di san Carlo nel Duomo…, op. cit., p. 94-95.

91 Marcora, Il processo diocesano, op. cit.: l’ultima deposizione è datata 4 febbraio 1604, mentre nel frattempo, già alla fine del 1603, erano partiti per Roma gli «ambasciatori» della città e del clero milanese incaricati di seguire il processo di canonizzazione ( p. 93); si veda anche F. Pagani, Marco Aurelio Grattarola e la canonizzazione di Carlo Borromeo, in Carlo Borromeo e il cattolicesimo dell’età moderna, op. cit., p. 85-87.

92 Rovetta, Ambrogio in Pinacoteca Ambrosiana, op. cit.

93 Fig. 7: A. Squizzato, Scheda nr. 722, Pittore attivo a Roma…, Sant’Ambrogio, in Pinacoteca Ambrosiana, III, Dipinti dalla metà del Seicento alla fine del Settecento, M. Rossi, A. Rovetta (a cura di), Milano, 2007 (Musei e Gallerie di Milano), p. 286; Rovetta, Ambrogio in Pinacoteca Ambrosiana, op. cit., p. 167-171. La stessa Squizzato (Scheda nr. 722, op. cit., p. 286) ha riconosciuto un’altra versione del ritratto nella tela del romano Tommaso Dovini detto il Caravaggino (1601-1637), raffigurante sant’Ambrogio e i diaconi, conservata a Roma, chiesa dei SS. Ambrogio e Carlo al Corso e ultimamente pubblicata da F. Curti, Precisazioni documentarie su Tommaso Dovini detto il Caravaggino, in Decorazione e collezionismo a Roma nel Seicento. Vicende di artisti, committenti, mercanti, F. Cappelletti (a cura di), Roma, 2003 (Artisti, opere, committenti, 1), p. 141-157 (in particolare p. 146), con una datazione tra il 1623 e il 1624.

94 Fig. 8 e 9. Per la tela dell’arcivescovado: L. P. Gnaccolini, Scheda nr. 406, Giovanni Ambrogio Figino… (seguace di?), San Carlo Borromeo, in Quadreria dell’Arcivescovado, op. cit., p. 357, che, tuttavia, identifica il santo effigiato col Borromeo, anziché con Ambrogio, a riprova di quanto sia labile — e proprio per questo le probabilità che vi fosse una precisa, consapevole strategia iconografica aumentano vertiginosamente, quasi a sfiorare la certezza — la differenza tra le due tipologie iconiche in questo torno d’anni. Nel medesimo fraintendimento sarebbero incepiscati anche gli schedatori del British Museum, dove si conserva un disegno preparatorio, originariamente attribuito a Giulio Cesare Procaccini, oggi restituito a Melchiorre Gherardini (N. Ward Neilson, Recensione a: U. Ruggeri, Gallerie dell’Accademia di Venezia. Catalogo dei disegni antichi, [2], Disegni lombardi, Milano, 1982, in Master Drawings, 21/3, 1983, p. 289), e accolto nel catalogo on line come «St. Carlo Borromeo in Glory» [http://www.britishmuseum.org/research/collection_online/collection_object_details.aspx?objectId=714232&partId=1]. Il confronto con la tela che ne derivò (oggi custodita a Milano, collezione privata) non lascerebbe adito, tuttavia, a margini di dubbio. Non si tratterebbe di una gloria carolina, tipologia per altro assai diffusa a Milano negli anni immediatamente successivi alla canonizzazione del 1610, bensì di un ritratto di Ambrogio, come lo staffile e il libro, pur faticosamente identificabili, starebbero a dimostrare: almeno così Biscottini, L’immagine di sant’Ambrogio, op. cit., p. 24, che, senza commentarlo, riproducendo il dipinto, lo intitola «Sant’Ambrogio alla maniera di san Carlo», lo data al 1610 circa e lo ascrive a Giulio Cesare Procaccini; Burzer, San Carlo Borromeo, op. cit, p. 206-207, ne discute, invece, introducendo contorni più sfumati, in connessione con il disegno del British Museum. Quanto alla versione oggi conservata in S. Gregorio e segnalata per la prima volta dal Bianchi, Sant’Ambrogio, san Carlo Borromeo e la «carità pastorale», op. cit., p. 295-296, si veda nuovamente Rovetta, Ambrogio in Pinacoteca Ambrosiana, op. cit., p. 171-174.

95 Fig. 10. Ambrogio, infatti, oltre a reggere il pastorale, brandisce uno staffile, fiancheggiato dai santi Gervasio e Protasio in un olio su tavola di considerevole impatto (cm 265 x 173). In loco si conserva una scheda dattiloscritta approntata per conto della Soprintendenza alle Gallerie di Milano, nr. 3953, che nella nota di sintesi accredita il dipinto a Ambrogio Bevilacqua, datandolo dunque al secolo XV. È questa la proposta attributiva avanzata fin dal Settecento: Torre, Il ritratto di Milano diviso in tre libri, op. cit., p. 335; Latuada, Descrizione di Milano, op. cit., II, Milano, 1737, p. 18; C. Bianconi, Nuova guida di Milano per gli amanti delle belle arti e delle sacre e profane antichità milanesi, Milano, 1787 [ristampa dell’edizione: Milano, 1783], p. 93; F. Nardi, Cenni cronologici-storici-critici sull’insigne basilica di S. Stefano in Brolo, Milano, 1896, p. 143. G. Mongeri, L’arte in Milano. Note per servire di guida nella città, Milano, 1872, p. 285, data il dipinto al Cinquecento, come possibile copia del Bevilacqua, in questa ipotesi seguito da Liana Castelfranchi, che alla fine degli anni ’50 schedò per la medesima Soprintendenza i dipinti conservati in S. Stefano. P. Mezzanotte, G. C. Bascapè, Milano nell’arte e nella storia. Storia edilizia di Milano: guida sistematica della città, Milano, 1948, p. 1034, non si risolvono tra un’attribuzione al pittore quattrocentesco e l’ipotesi della copia cinquecentesca. In realtà scorrendo la documentazione d’archivio si possono individuare con una certa precisione i termini post e ante quem nel 1567 e nel 1609 (a quest’ultimo anno infatti risale la prima descrizione dettagliata: «icona cum cornicibus deauratis in cuius medio picta est imago sancti Ambrosii Mediolani archiepiscopi et sanctorum Gervasii et Prothasii», Milano, Archivio storico diocesano, Archivio spirituale, Sezione X, [Milano], S. Stefano, 9, f. 133v).

96 Milano, Archivio storico diocesano, Archivio spirituale, Sezione X, [Milano], S. Stefano, 9, f. 132v-133v.

97 M. M[ojana], Scheda nr. 310, Giovanni Ambrogio Figino…, Sant’Ambrogio a cavallo, Il vescovo Ambrogio sconfigge gli ariani, in Ambrogio. L’immagine e il volto, op. cit., p. 82-83; F. Cavalieri, Scheda nr. 310, Giovanni Ambrogio Figino…, Sant’Ambrogio a cavallo, in Museo d’arte antica del Castello Sforzesco. Pinacoteca, II, Milano, 1999, p. 83-86. Sul complesso sacro parabiaghese e sull’iconografia che propone Ambrogio in versione equestre: M. L. Gatti Perer, La chiesa e il convento di S. Ambrogio della Vittoria a Parabiago, Milano, 1966 (Monografie di Arte Lombarda. I monumenti, 1); G. Cariboni, I Visconti e la nascita del culto di sant’Ambrogio della Vittoria, in Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, 26, 2000, p. 595-613 [ora anche consultabile on line: http://fermi. univr.it/rm/biblioteca/scaffale/c.htm#Guido Cariboni]; Id., Comunicazione simbolica, op. cit., p. 28-30; Id., Il codice simbolico tra continuità formale e mutamento degli ideali a Milano presso i primi Visconti, in Annali di storia moderna e contemporanea, 16, 2010, p. 204-209.

98 S. B[andera], Scheda nr. 101, Bernardino Campi…, Progetto per il gonfalone di sant’Ambrogio, in Le stanze del cardinale Monti, 1635-1650. La collezione ricomposta, [Catalogo della mostra, Milano, Palazzo Reale, 18 giugno-9 ottobre 1994], Milano, 1994, p. 231-233; Geddo, Paoli, I santi Ambrogio e Carlo, op. cit., p. 298-301; S. Paoli, Scheda nr. 65, Bernardino Campi…, Progetto per il gonfalone, in La città e la sua memoria, op. cit., p. 318; R. S[acchi], Scheda nr. 20, Giuseppe Meda (attribuito)…, Progetto per il gonfalone di sant’Ambrogio, in Ambrogio. L’immagine e il volto, op. cit., p. 73-74; M. Marubbi, Scheda nr. 519, Giuseppe Meda…, Progetto per il gonfalone di sant’Ambrogio, in Museo diocesano, P. Biscottini (direzione scientifica di), Milano, 2011 (Musei e gallerie di Milano), p. 380-382.

99 Si vedano in proposito note 12 e 27 nonché testo corrispondente.

100 Lettera del 5 novembre 1580: BAMI, F 153 A inf., f. 148; per una recente trascrizione e contestualizzazione storica: Gatti Perer, La chiesa e il convento di S. Ambrogio della Vittoria, op. cit., p. 4.

101 Rinvio alla precedente nota 38.

102 Si veda precedente nota 27.

103 Institutionum ad Oblatos s. Ambrosii pertinentium epitome in libros quatuor distributa Caroli S.R.E. cardinalis tit. Sanctae Praxedis archiep. Mediol. iussu edita, Mediolani, 1581 (fig. 12).

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